E’ di questi giorni la notizia delle esternazioni di un docente delle superiori in merito alla pandemia. Si è mossa anche la nota trasmissione de “Le Iene”. Il tutto ha rotto la monotonia delle quotidiane dichiarazioni sulla fontana dei leoni (con obelisco annesso). In piena pandemia, mentre la regione vira verso il colore arancione dell’emergenza, Jesi sembra sempre più allontanarsi dalla realtà drammatica in atto, scegliendo la strada delle tifoserie, degli anatemi, dell’autoincensarsi del proprio esistere. Se un docente fa dichiarazioni molto discutibili sia sul piano del contenuto scientifico, sia su quello dell’educazione, al di là dell’episodio in quanto tale, è da interrogarsi sullo stato della scuola pubblica in città, e nel paese, dove in più, un dirigente scolastico, in occasione del 4 novembre, ha esaltato la bella morte in guerra.
Al clima di tragedia della scorsa primavera, con le sue rappresentazioni di miti ed eroi, si è sostituito quello da commedia – non meno tragica – in cui la gravità del momento sfuma nel dimenticatoio, nell’auto-assolvimento di una classe al potere (locale, regionale – vecchia e nuova – e nazionale) nella migliore delle ipotesi incapace di gestire l’emergenza in atto (vogliamo parlare dell’utilità dell’idrossiclorochina?), nella peggiore, insensibile ai reali drammi in corso. Drammi di chi non ha lavoro, degli invisibili, dei precari e dei tanti lavoratori in nero che non sanno come andare avanti. Drammi che vedono infermieri e medici, oss e personale sanitario e sociale, duramente impegnati a rispondere ai bisogni collettivi. Un disagio sociale e lavorativo che doveva e poteva essere quanto meno mitigato in tempo a fronte di una seconda ondata, prevedibilissima anche dal più mediatico dei virologi.
C’è una Jesi che non fa parte di tifoserie di sorta. Non ne ha tempo, deve tirare avanti in corsia o nei quartieri dimenticati, sui mezzi pubblici o sui luoghi insicuri di lavori sottopagati. E’ la Jesi, o meglio è il paese Italia tutto, fatto di gente reale (non regia) che sa che dovrà superare i lunghi mesi che ci attendono, cercando di non cedere alla disperazione e sviluppando solidarietà e mutuo aiuto perché sui chiacchieroni di sempre, non si può contare. Poi, infermieri e medici, stanchi di vivere in un paese che taglia la salute e in cui trova spazio chi nega la scienza, magari si faranno tifoseria. Poi, disoccupati e precari, stanchi di chi semina odio e parla di sicurezza senza mai pensare al lavoro, dovranno farsi tifoseria. Poi, si dovranno ricostruire una città ed un paese usando le ragioni del bisogno e i sentimenti degli ultimi. Adesso è solo il tempo di sopravvivere. Tutti, senza lasciare nessuno indietro.
FAI – Federazione Anarchica Italiana
Sez. “M. Bakunin” – Jesi;
Sez. “F. Ferrer” – Chiaravalle
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