martedì 24 ottobre 2017

27 ottobre, Sciopero generale


Ai sindacati ci pensiamo noi, una volta al governo”, non sono proprio le parole testuali, ma il concetto è lo stesso, quello espresso da Di Maio, il ragazzo prodigio pentastellato. Dopo essere andato ad omaggiare i padroni ad Abano Terme, baciare il sangue di San Gennaro, ha ripreso il luogo comune che i sindacati non vanno bene. La caccia ai voti nel sottopancia italiano, tra i disoccupati e i non tutelati che leggono la loro precarietà come unico prodotto di una società fondata sui diritti sociali che però “privilegerebbero” alcuni e discriminerebbero tanti altri. Una logica che genera guerre fra poveri, caccia all’immigrato, cancellazione di qualsiasi lotta sociale e sindacale per sostituirla con una guerra fra poveri continua. Una guerra fra chi subisce la ferocia del liberismo, i tagli alla spesa pubblica, l’imbarbarimento delle coscienze, lasciando impuniti chi ne trae profitto e potere da una situazione di insicurezza continua.

I sindacati confederali – CGIL, CISL e UIL – hanno le loro responsabilità nella precarietà sociale ed economica presente, segni del fallimento della concertazione dei diktat padronali e del mercato. I funzionari sindacali e le organizzazioni non hanno brillato come strumenti di lotta ed emancipazione dei lavoratori, ma al tempo stesso all’interno dei sindacati ci sono lavoratori ed idee di riscatto e mediazione sociale che vengono ogni giorno negate sia dai padroni sia dai figli di papà sorridenti che brillano nel baciare ampolline di vetro. In tutto ciò però c’è chi non si arrende alla perdita di diritti, c’è chi vuole l’allargamento dei diritti per tutti.

C’è chi fa sindacalismo dal basso, senza poltrone, per il miglioramento della vita di tutti e la conquista di garanzie sociali e lavorative, per una piattaforma di lotta che prevede: forti aumenti salariali, riduzione generalizzata dell’orario di lavoro (30 ore settimanali), investimenti pubblici per ambiente e territorio, pensione a 60 anni, con 30 anni di contributi, garantire il diritto alla salute, all’istruzione, all’abitazione, e molto altro in quella che si annuncia come la prima scadenza nazionale di lotta sindacale per lo sciopero generale del 27 ottobre.

In questi giorni si consuma l’ennesimo atto di arroganza padronale e del governo. Da una parte all’Ilva di Taranto, Genova e nelle altre sedi, viene cancellato il futuro di chi non avrà più un lavoro e si chiamerà “esubero (un po’ come gli esodati della Fornero), dall’altra, grazie alla truffa del Jobs Act, verranno cancellati garanzie e diritti per i lavoratori che dovranno cedere al ricatto occupazionale fatto dall’azienda. Il governo, dal canto suo, non dice nulla al modo arrogante di fare di una imprenditoria italiana, anzi, quasi la premia visto che, per l’ennesima volta, vara una finanziaria che trova soldi per i padroni e le avventure militari, a scapito di scuola e sanità pubblica.

Lo sciopero generale del 27 ottobre, indetto da un’ampia area di sigle sindacali, non è lo sciopero fatto in Catalogna, non passa per l’identità nazionale, seppur socialmente impegnata, ma alza la voce di chi lavora in questo paese che sta arricchendo i pochi che stanno al potere (politico ed economico), mettendo le mani nelle tasche dei molti che sopravvivono della quotidianità della precarietà. Il 27 ottobre sciopero generale di tutte le categorie per la secessione dagli interessi del profitto, e l’affermazione dei diritti dei più deboli.


Nessun commento: