- “La piccola Torino”
Jesi…
come
spaccato di un paese che vive un limbo economico in cui il ceto medio
cerca di puntellare i propri averi scendendo in politica e a volte in
piazza, animato più dalla paura e e dalla xenofobia che da altro, è ben
lontano dall’essere capace di equità e sensibilità verso gli oppressi, i
diversi, sempre più verso la concorrenza sul lavoro, l’esclusivismo e
l’indifferenza verso chi vive le medesime condizioni. Un potente
anestetico che paralizza la lotta di classe e incanala le insofferenze
verso un nemico astratto e lontano facendo perdere di vista i problemi
reali della vita quotidiana:
niente lavoro,
neanche con il pacchetto Jesi in progress, già
avviato e utilizzato da JesiAmo come programma politico per la prossima
tornata elettorale, il quale non si fermerebbe di certo con la
dipartita dell’attuale giunta perché il gruppo Maccaferri ha voluto
investire sul progetto e di certo aspetterà guadagni. Il programma
prevede il risanamento dell’economia Jesina creando poli attrattivi
(l’ex-Sadam ad esempio) per i nuovi capitali distribuiti, ovvero giovani
creativi che decidono di investire su se stessi avviando start-ups che,
se trovano il mercato giusto , poi devono appaltare la produzione
seriale a fabbriche fuori zona, dove il costo della manodopera è minimo.
Una farsa di neo-industrializzazione che richiede pochi lavoratori, e
altamente specializzati in … precarietà totale. E’ la stessa visione
economica che esalta il mercato del turismo, soluzione spesso proposta
per risolvere i problemi del Bel Paese, ma che alle ultime ruote del
carro non porta altro che lavoro sottopagato e stagionale. E’ il
risultato di una politica al servizio dei potenti che non vuole né
diritti
né servizi
minimi,
a causa della progressiva destrutturazione di tutti i settori
assistenziali in favore del profitto delle aziende private, a discapito
di chi fa la fila al Pronto Soccorso, o chi lavora il doppio per
mancanza di assunzioni – a metà stipendio si intende – con un continuo
scarica barile fra città, regione e governo centrale su chi è
responsabile di tagli di ogni tipo. Di fronte a questo la
sinistra istituzionale, cerca di opporsi, ma in realtà non è in grado
di mettere in discussione la struttura sfruttatrice, e alla fine ogni
campagna si risolve con il rito dell’ennesima richiesta di consenso
elettorale, noncurante dell’inesistenza del tessuto sociale a cui si
rivolge, anche perché Noi
sfruttati, delle urne elettorali, non sappiamo che farcene. Solo con la
solidarietà quotidiana tra chi è ultimo, possiamo rimanere a galla
tutti, dare voce a speranze e rivendicazioni, ricostruire
e sperare in una società più giusta. Una società organizzata dal basso,
aperta, che ai potenti in cerca di poltrone sbatte in faccia la realtà
di fronte ai progetti fasulli che non servono a
nessuna città.
2. “No alla guerra permanente”
Non serve a nessuno un
conflitto mondiale. Gli effetti suscitati già bastano e avanzano a chi
avrebbe interesse a farlo scoppiare. Sui media e sui social non si fa altro che parlare di attentati terroristi e tensioni internazionali. In Italia l’attuale governo cerca di intercettare paura e angoscia per strappare consensi a destra con Minniti ed il suo decreto che di fatto mina la libertà di chi è “colpevole” di far parte di ceti meno abbietti, dimostrando ancora una volta che la guerra fra e verso gli ultimi è sempre conveniente per chi finanzia populismi, nazionalismi, integralismi e paure di massa: ottimi mercati per chi vende armi e ricava profitti dalla limitazione delle libertà.
I grandi capitali si spostano meglio degli uomini e dei diritti. I primi arrivano e chiudono le frontiere ai profughi e spostano l’occupazione dove ci sono stipendi più bassi, sovvenzioni statali, detassazione e assenza di tutele e impunità a devastare territori e comunità.
Il connubio tra Stato e Capitale beatifica guerre civilizzatrici e aumenti di spese militari (23,3 mld. di euro per il 2017), mentre istruzione, welfare, sanità, previdenza scompaiono sotto continui e pesanti tagli che ormai non destano più proteste efficaci.
Più
facile prendersela con gli stranieri o chi rovista nei cassonetti, con
gli europei o con i britannici, ma intanto la Brexit la pagheranno i
proletari sia della UE sia dell’UK. Quello che dovrebbe essere il primo
strumento di democrazia partecipativa, il referendum, ha appena
legittimato il montare della dittatura in Turchia. Del resto non che in
Italia fra referendum per l’acqua pubblica e contro le trivelle, le cose
siano andate proprio bene.
Alla fine quello che si presenta in prossimità della festa del 25 Aprile è un quadro nazionale e internazionale fortemente sbilanciato verso un orizzonte privo di libertà, diritti, speranze … futuro. Un quadro fatto di menzogne e presidenti come maschere tragiche del potere, di venditori di fumo della rete e di angosce complottiste, di guerre fra bande parlamentari e disillusioni di ogni genere. Un brutto quadro che forse è meno forte di quanto si creda, dove il potere teme comunque una qualsiasi forma di organizzazione politica o sindacale dal basso, ogni singola o collettiva protesta e denuncia, fino al più minimo anelito di libertà.
Alla fine quello che si presenta in prossimità della festa del 25 Aprile è un quadro nazionale e internazionale fortemente sbilanciato verso un orizzonte privo di libertà, diritti, speranze … futuro. Un quadro fatto di menzogne e presidenti come maschere tragiche del potere, di venditori di fumo della rete e di angosce complottiste, di guerre fra bande parlamentari e disillusioni di ogni genere. Un brutto quadro che forse è meno forte di quanto si creda, dove il potere teme comunque una qualsiasi forma di organizzazione politica o sindacale dal basso, ogni singola o collettiva protesta e denuncia, fino al più minimo anelito di libertà.
Ed
allora, per non cedere al ricatto della paura e alla disperazione della
miseria, è ora di alzare la voce e di alzarsi a difesa dei diritti degli
sfruttati.
F.A.I. Federazione Anarchica Italiana
Sez. “M. Bakunin” – Jesi
Sez. “F. Ferrer” – Chiaravalle
link al pdf: DalFondoAprile2017
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