giovedì 24 marzo 2011

che tempi!

Nelle ultime settimane sono accaduti fatti che la storia ricorderà per la loro vicinanza e gravità. La rivolta dei popoli nordafricani e del M.O. (Egitto,Libia,Tunisia, Yemen, Marocco…),stanchi della fame,della miseria e della disoccupazione cui erano sottoposti dai loro regimi dittatoriali sostenuti dall’Occidente. Il terremoto (e lo tsunami) che ha colpito il Giappone: uno dei paesi più industrializzati e avanzati tecnologicamente ,ora in ginocchio e a rischio di un ecatombe nucleare per le scorie radioattive riversate nell’aria, in aria e nel suolo. Ed infine la guerra contro la Libia, sempre per motivi umanitari (come cento anni fa), ed anche per il petrolio, per la concorrenza finanziaria di Gheddafi, per il mercato, etc. Di fronte a tutti questi fatti i governanti del bel paese non stanno certo a guardare.


La sicurezza nucleare. Il governo Berlusconi (sostenuto anche da alcuni “intellettuali” molto in vista),afferma con vigore che l’Italia (paese ad alto rischio sismico) continuerà il suo programma che prevede l’apertura di centrali nucleari nei prossimi anni senza aver ancora risolto i problemi di stoccaggio delle scorie radioattive tuttora “vaganti” nel territorio, e con una classe politica ed imprenditoriale incapace di gestire un nubifragio, un terremoto, una frana. Del resto a loro parlare di sicurezza significa: “Non può succedere da noi, e poi abbiamo tante centrali nei paesi confinanti…”. Una buona impostazione per giustificare il ritorno al nucleare senza dire le speculazioni che si celano dietro. Buon gioco in una memoria troppo corta che non ricorda i disastri di Chernobyl di 25 anni fa, che ancora oggi pesano sulla salute. E poi alla fine bisogna fidarsi di questo nucleare se i politicanti berlusconiani (e non solo) ci dicono che è sicuro. Loro di sicurezza se ne intendono: per prendere i voti quando c’è da sbandierare la sicurezza contro i rom o gli stranieri, o per voltare la faccia quando la sicurezza mancata ammazza quotidianamente sul posto di lavoro.


Guerra e rivolte. Dopo essere stati sostenuti dall’Occidente per decenni, i dittatori arabi e mediorientali cominciano a dare fastidio. Forse perché hanno accumulato troppi soldi a danno dei loro popoli e finanziariamente cominciano ad essere dei concorrenti scomodi per le corporation occidentali. O forse sempre per il solito petrolio, per il mercato… o un po’ per tutto questo. No di certo per la pace, la giustizia sociale, la libertà e la democrazia che non si possono esportare con bombardamenti (Iraq ed Afghanistan fanno testo). Ciò nonostante un altro fronte di guerra si è aperto per l’Occidente e per l’Italia riaffermando la logica della diplomazia fatta con i bombardamenti (chirurgici e che ammazzano solo un pochino e mai i civili), traffici d’armi, distruzioni, tagli allo stato sociale: sanità, scuola, servizi, trasporti, etc. La dignità degli uomini e delle donne che hanno manifestato in queste settimane in Nord-Africa e nel Medio-Oriente dimostra come i popoli riescano ad essere più pacifici di chi li governa, riescono ad organizzarsi meglio quando non c’è l’autorità, e soprattutto urlano la loro voglia di dignità e libertà che noi in Occidente dovremmo riprendere, allargare, sostenere, diffondere per cacciare i nostri dittatorelli locali.


Prendiamo esempio dalle lotte pacifiche che hanno cacciato Ben Alì e Mubarak per cacciare Berlusconi, per ridare legittimità ad una politica fatta dal basso e non dalle segreterie di partito o opposizioni in cerca di poltrone. Prendiamo esempio da chi lotta per dire no alla guerra e alle spese militari, no al nucleare e all’affarismo fatto sulla salute dei cittadini. In piazza, ora!


NO ALLA GUERRA, AL NUCLEARE, E AI POLITICI CORROTTI!


FAI – Federazione Anarchica Italiana. sez. “M. Bakunin” – Jesi, sez. “F. Ferrer » - Chiaravalle


domenica 13 marzo 2011

dal gruppo torinese considerazioni antimilitariste

Nostra patria è il mondo intero


Soldati e bandiere. I nazionalisti di ogni dove fanno festa con divise e
vessilli: cambiano fogge e colori, ma la musica è sempre la stessa. Quella
delle marcette che accompagnano gli assassini di professione.
I soldati fanno le guerre, ammazzano, incendiano, distruggono, stuprano.
Le bandiere fanno sembrare belli e sacri i massacri.
I militari che ammazzano i bambini in Afganistan – nove solo la scorsa
settimana – sono trattati da eroi, chi brucia il tricolore, perché
vorrebbe un’umanità senza frontiere, rischia due anni di galera.

Quanti uomini, donne e bambini sono morti per spostare un confine, per
piazzare un po’ più in là una bandiera, perché uno Stato diventasse più
grande? I contadini meridionali che salutarono Garibaldi sperando in un
domani migliore scoprirono presto il loro inganno. La loro rivolta contro
tasse, coscrizione obbligatoria, razzismo venne repressa in un bagno di
sangue.
La nazione, la patria, la bandiera sono le favole tristi che gli Stati
raccontano quando mandano qualcuno ad ammazzare e a morire. Magari per la
pace. O l’umanità.
Negli anni Trenta le truppe italiane massacrarono centomila libici (su
ottocentomila abitanti) in nome della grandezza e dell’impero. Oggi si fa
la guerra e la si chiama pace.
Gli accordi con la Libia sottoscritti dai governi italiani, sinistra e
destra unite per un mondo peggiore, sono stati la condanna a morte,
tortura, galera e stupro per migliaia di immigrati, profughi e richiedenti
asilo.
Il raiss di Tripoli è stato accolto, riverito, baciato e lautamente pagato
per i suoi servizi.
Uno sporco lavoro appaltato ad una ditta specializzata. In violenze e
torture. Da sempre la Libia è un inferno per chi vi giunge da sud: tra
trafficanti d’uomini, galere infami, botte e ricatti molti non ce la
fanno. I corpi di chi viene abbandonato nel deserto e quelli inghiottiti
dal mare sono la silente testimonianza di una strage programmata a Roma ed
eseguita a Tripoli.
Un crimine contro l’umanità, perpetrato nel silenzio dei governi –
francesi ed inglesi in testa - che oggi vorrebbero bombardare la Libia per
cacciare Gheddafi. Il governo italiano tentenna solo perché aspetta di
salire sul carro del vincitore. A nessuno importerebbe nulla degli insorti
della Cirenaica, se non stessero seduti sopra milioni di barili di
petrolio.

Lo Stato italiano compie 150 anni e fa festa. Il governo festeggia con ben
10 parate militari nelle strade della prima capitale d’Italia.
Festeggia un paese in guerra. Quelle di ieri e quelle di oggi.
Chi sa che nel Forte di Fenestrelle migliaia di prigionieri di guerra
borbonici vennero fatti morire di fame e di stenti?
Seicentomila contadini ed operai del nord e del sud morirono per spostare
più ad est i confini del regno, perché una bandiera diversa sventolasse
sugli edifici pubblici. Cosa ne hanno guadagnato i poveracci di Trento,
Trieste, Gorizia? Forse i padroni sono diventati meno padroni, c’è stata
distribuzione delle ricchezze, giustizia sociale? Nulla cambia ogni volta
che si sposta una frontiera.
Ma i tricolori garriscono spavaldi sulle tombe di chi è morto senza un
perché.

L’Italia si è fatta – e si continua a fare – con il sangue degli “italiani”.
Con il sangue della povera gente. La povera gente ha la stessa faccia in
ogni dove, perché ovunque – qualunque sia la bandiera, i padroni lucrano
sulle nostre vite, rubandocele pezzo a pezzo. Chi vuole un mondo diverso,
senza sfruttati né sfruttatori, non vuole frontiere, Stati, bandiere,
eserciti.

Ricordate le proteste della Confindustria all’annuncio della festività del
17 marzo? Dopo aver gridato che il governo li mandava sul lastrico i
padroni hanno cessato le ostilità. Che siano stati pervasi da improvviso
furore patriottico? Che i padroncini della bassa padana abbiano rinunciato
al sole delle alpi?
Ma figurarsi! La spiegazione è banale. Chi credete che paghi la “festa”
del 17 marzo? I lavoratori ovviamente!
Nel 2011 la festività soppressa del 4 novembre non verrà pagata come di
consueto, perché i soldi del 4 novembre serviranno a coprire il 17 marzo.
Così tra una fanfara ed un alzabandiera ci rimettiamo una giornata di
stipendio.
Una ragione in più per sostenere l’internazionalismo contro la retorica
patriottica di si arricchisce con le guerre e con il nostro lavoro.

Federazione Anarchica Torinese - F.A.I.