mercoledì 20 maggio 2015

osservatorio Marzo - Aprile 2015






































Nel mese di Marzo la fortuna è venuta incontro ai lavoratori marchigiani, nessun morto e solo un incidente.
Parliamo di fortuna visto che il mese seguente è stato uno dei più luttuosi, con una delle 
più grandi tragedie degli ultimi anni per la marineria di Civitanova. Ci sembra chiaro che non sia la 
sicurezza sul lavoro, gli investimenti in formazione o l’abitudine a abbassare i livelli di rischio nelle aziende il primo pensiero di chi si riempe la bocca in queste imminenti elezioni regionali con posti di lavoro.
Lavoro che a parole tutti hanno in mente per la regione chissà se permetterà chi lo svolge di tornare a casa sano e salvo, con un reddito degno e senza la paura di entrare nel girone dantesco in cui è stata 
trasformata la sanità marchigiana, che a forza di aree vaste si è dimenticata la vastità dei lavoratori che vengono presi per i fondelli dalle dirigenze con promesse mai mantenute e ritmi lavorativi portati al massimo.
Non si arresta lo schiavismo in regione, nel Senigalliese a Marzo ancora un volta viene scoperto un laboratorio per capi di abbigliamento dal fatturato di 1 milione di euro, senza assumere nessuno. I 20 lavoratori che vengono trovati al lavoro di notte, di giorno Vivono/dormono nel capannone attiguo (concesso in affitto ) ricavando letti anche nei bagni una volta tolti i sanitari, persino nei solai delle scale. Chi ancora si ostina a vedere una ripresa, forse solo dei loro conti in banca, non può negare l’ecatombe che si sta abbattendo in regione: siamo al primo posto in italia per l’aumento di disoccupazione giovanile dal 2007 al 2014 + 300% , in un crollo nazionale della produzione industriale del 24%. Sono centinaia gli annunci di messa in mobilità dei dipendenti tra Whirpool,Eridania,Auchan...solo per citare le più note.
I numeri ci dicono che sono arrivati a 11472 i disoccupati in vallesina di cui 6259 donne e 3302 over50.
Le controparti istituzionali che si sgomitano per difendere il lavoro nelle marche sanno benissimo che con il nuovo corso del “partito unico” tutto sarà lasciato fare alle aziende e come prima cosa non rispetteranno gli accordi di piani aziendali che avevano firmato.

-17 marzo -  Apiro - autista viene travolto da un cancello sfondato dal mezzo che si 
                    sfrena ferito riporta traumi facciali e al torace; 
- 03 aprile - Civitanova - affonda un peschereccio 4 morti e un ferito grave, si pensa 
                     che fosse sovraccarico di cozze e imbarcasse 2 ragazzi in più del 
                     consentito 
- 04 aprile - Civitanova - ferito alla testa con perdita di coscienza uno degli 
                     elicotteristi a causa dell’ esplosione di un oblò del velivolo coinvolto
                     nelle operazioni di ricerca dei marinai dispersi nell’affondamento del 
                     peschereccio
- 07 aprile - Torrette di Ancona - tir si ribalta, l’autista rimane ferito
- 11 aprile - Camerano - un uomo di 55 anni rimane con la gamba sotto la motozzappa
                     riporta gravi ferite, elitrasportato a torrette
- 16 aprile - Pesaro - un operaia di 36 anni si amputa la mano in un macchinario per il
                     taglio della lana alla lanaflex, verrà operata nel tentativo di non 
                     perderla
                   - Paterno - incidente nella galleria dell’A14 tra mezzi pesanti e auto
                     alcuni feriti
                  - Ostra - ristoratore di 47 anni muore schiacciato dal ribaltamento del 
                    trattore
21- aprile - Cartoceto - operaio anas rimane ferito nel tamponamento da parte di un 
                    camion del suo mezzo che segnalava un cantiere mobile 
                  - Montecassiano - autista di mezzo pesante che trasportava legname rimane
                    ferito nel ribaltamento del mezzo



giovedì 14 maggio 2015

votare chi e per cosa?


Votare chi e per cosa?



Il prossimo 31 maggio si voterà in sette regioni italiane, fra cui le Marche. Elezioni importanti per i governi locali che decideranno ancor più sulla sanità futura, sul territorio, probabilmente a livello nazionale (via il senato entrano i rappresentanti delle regioni) e, senza sorpresa, su tasse e sussidi a livello locale.

La posta in gioco è alta, il territorio da conquistare attraverso una poltrona è potenzialmente ricco di offerte, affari, interessi, e clientele ed altro. Gli scandali avvenuti in questi anni, e in questi mesi non fanno sperare niente di buono, anzi. Non c’è stata regione dove non si sono avute spese pazze, a carico dei cittadini, corruzione di consiglieri, collusione con la criminalità e il continuo taglio di servizi, sicurezze, prestazioni sanitarie.

In quasi mezzo secolo di vita il risultato politico ed economico, ma soprattutto sociale dell’esistenza delle regioni in Italia è negativo, rivelandosi funzionale alla crescita delle disuguaglianze sociali, alla protezione dei profitti privati, alla devastazione del territorio.

Nelle Marche poi si assiste ad una tragicommedia politica e istituzionale dove il presidente Spacca, due mandati a maggioranza PD, adesso corre per il centrodestra. Giochi di potere che potrebbero anche non interessarci, ma le loro conseguenze, le cattive ricadute di una democrazia stracciona e di un capitalismo rampante e arrogante, saranno unicamente a carico dei più deboli, degli sfruttati, dei lavoratori, di vecchi, malati, stranieri e disoccupati.

Qualcuno dice che il sistema Marche tiene. Forse, ma diminuiscono i posti di lavoro, chiudono le fabbriche, scompaiono garanzie e tutele di ogni tipo. La sanità, nonostante la regione sia fra le più virtuose, subisce contrazione dei servizi e dell’accesso, per essere data in gestione a primari tuttofare al governo di interi settori medici su tutto il territorio di una provincia. Alla faccia della democrazia (loro)! E mentre si vendono balle che parlano di futura occupazione con lo sviluppo del turismo, quando piove un po’ più del solito, si allagano strade, case e quartieri.

Le Marche come territorio devastato dalla politica istituzionale e dai profitti di mercato, dove chi governa e chi sta all’opposizione ha sempre una scusa pronta per dare la colpa a qualcun altro … ma allora che ci stanno a fare? Al contrario gli esempi sono molteplici di lavoratori e cittadini che si mobilitano dal basso per difendere il lavoro (Cantieri ad Ancona e l’Indesit a Fabriano), la salute (Fossombrone e Chiaravalle contro la chiusura dei piccoli ospedali, o il grido degli operatori sanitari che non ce la fanno più), il territorio (contro rigasificatori, turbogas, ecc.).

Le Marche: l’Italia in una regione. Vecchio slogan di qualche anno fa ma verissimo e valido, e dunque come nel resto d’Italia, la difesa del lavoro, del territorio, della salute, e dei diritti, parte dal basso, dalle lotte, dalla solidarietà, e non dall’illusione di cinque minuti di democrazia, più sperata che rilasciata. Se tutti i soldi che vengono spesi in campagne elettorali fossero investiti nella risposta ai bisogni collettivi, molti problemi sarebbero risolti.

La scelta resta quella dell’autogoverno, delle risorse redistribuite, dei bisogni sociali soddisfatti, della cacciata di una classe politica al servizio unicamente dei padroni di sempre.



No grazie, meglio l’autogestione sociale!


F.A.I. - Federazione Anarchica Italiana 
M.Bakunin - Jesi
F.Ferrer - Chiaravalle



mercoledì 6 maggio 2015

dopo il 1°Maggio da Milano

Per uno sbocco rivoluzionario e libertario alla crisi imposta da Stato e Capitale
EXPO: LA LOTTA CONTINUA

“Devastazione e saccheggio”, parole forti, parole da quindici anni di galera per chi viene beccato con la mazzetta in mano, per chi è stato preso nel mucchio del riot cittadino, nei pressi di una vetrina infranta o di un auto in fiamme o, a posteriori, ne verrà riconosciuta la presenza attraverso analisi fotografiche e video. Chi ci sta lo sa.
A chi devasta territori e ambiente, a chi saccheggia le risorse comuni, a chi ci fa morire di amianto, d’inquinamento, di discariche abusive, a chi ha un altro tipo di “mazzette” in mano, sappiamo bene che lo Stato e i suoi apparati repressivi (polizieschi, giudiziari e carcerari) non riserva altrettanto trattamento. E non potrebbe essere altrimenti: Stato e Capitale, nella loro complice e collusa alleanza, non possono certo “accusarsi e arrestarsi” a vicenda. E anche questo noi lo sappiamo.
A Milano, il Primo maggio, una grande manifestazione di oltre trentamila persone, in maggioranza di giovani, donne e uomini, sia del luogo che provenienti da varie parti del paese e d'Europa, ha animato le vie della città percorrendo, in vario modo, i pochi chilometri di strade 'concessi' dalle Autorità locali sotto stretto controllo dei vertici nazionali. L'obiettivo era quello di disvelare il reale significato di quel baraccone fieristico rappresentato da Expo 2015; di denunciare che quanti hanno contribuito al disastro alimentare ed agricolo di paesi e di parti consistenti di interi continenti non possono ora presentarsi come paladini della lotta della fame nel mondo, del rispetto delle biodiversità e della vita e del lavoro di che la terra la lavora; di accusare il sistema di malaffare, di corruzione, di speculazione selvaggia che ha regnato su Expo e che regnerà sulle aree del sito alla conclusione dell'evento; di opporsi ad un modello di sviluppo basato sul lavoro precario, gratuito e sulla pauperizzazione del paese.
Un corteo di meno di quattro chilometri ottenuti a fatica, dopo il divieto, giunto a pochi giorni dalla manifestazione, di passare per il centro città, trasformata in una sorta di zona rossa, una sorta di provocazione in una giornata che è sempre stata simbolo della lotta per la liberazione dalla schiavitù del lavoro salariato, in una città che ha visto negli anni lo svolgimento di grandi e partecipate May Day.
Un corteo composito ed eterogeneo, che raccoglieva il lavoro svolto nel tempo dai comitati No Expo e lo sforzo organizzativo di rappresentare sul campo le diverse anime e sensibilità che sul terreno della lotta a quel modello di società e di sviluppo si muovono. Un corteo costruito assemblearmente dopo diversi mesi di riunioni, di confronti, di decisioni costruite sul consenso e sull'accordo. In testa più di duecento musicisti, appartenenti a bande di vari paesi d'Europa, reduci dalla cena serale d'accoglienza presso la sede della FAI di Milano curata dalla Banda degli Ottoni, a dare un segnale di festa e di calore, a seguire i comitati No Tav, No Muos, No Expo, la rete 'Genuino clandestino', quelli di lotta sul territorio e per la casa, il sindacalismo di base della CUB e dell'USB, lo spezzone rosso nero con lo striscione 'Expropriamo Expo', dietro cui sfilavano circa duecento compagni e compagne tra FAI, il Circolo anarchico di Via Torricelli 19, l'USI  striscione e Iniziativa Libertaria di Pordenone con i loro striscioni, oltre a diverse individualità. A seguire, e a chiudere il corteo, il SI.COBAS, il 'Sindacato è un'altra cosa', e infine vari partiti, da Rifondazione al PCL.
Imponente lo schieramento di polizia, con mezzi blindati e reticolazioni semoventi, a chiusura delle varie possibilità d'accesso al centro città; anche se rimane 'curioso' il fatto di aver lasciato parcheggiare le auto lungo il percorso del corteo, così come il fatto che siano rimasti al loro posto i cestini per i rifiuti ed altre suppellettili cittadine che generalmente vengono rimosse in previsione di cortei 'caldi e vivaci' come ci si aspettava che fosse, soprattutto dopo la campagna mediatica preventivamente criminalizzatrice e le conseguenti perquisizioni e sgomberi delle giornate immediatamente precedenti.
La formazione del corteo è stata lentissima anche perchè si partiva dalla grande piazza di Porta Ticinese per imboccare lo stretto omonimo Corso, ma senza grossi problemi perchè il posizionamento dei vari spezzoni era stata concordato da tempo. Quello che non poteva essere concordato era il posizionamento di quanti, provenienti da fuori Milano e da fuori Italia, non avevano partecipato al percorso organizzativo e che si presumeva si potessero posizionare alla coda del corteo. Nei fatti quello che è successo è che queste realtà si sono posizionate all'interno degli spezzoni a loro più affini, soprattutto nella parte centrale del corteo dove si è evidenziato un comportamento assolutamente refrattario al rispetto degli accordi presi precedentemente. Volontà politiche, sicuramente autoritarie e prevaricatrici, ed in/sofferenze sociali si sono mischiate dando origine ad uno spezzone che ha cercato un suo protagonismo attivistico prima nella contrapposizione con le forze di polizia, poi con quelli che sono stati identificati con i simboli del potere capitalistico. Ma chi cerca di trovare un nesso unico, una regia unica, in quello che è successo sbaglierebbe.
Lasciando alla destra tradizionale e a quella renziana le urla di sdegno e gli editti accusatori, la minaccia di rappresaglie ed i progetti di leggi liberticide, quello che ci interessa mettere a fuoco è come il Primo maggio a Milano si sia messo in scena non tanto una replica di quanto già visto a partire da Seattle in poi, quanto una prima concretizzazione di quello che le politiche di austerità, di impoverimento sociale, di rafforzamento autoritario, di restringimento degli spazi di espressione e di organizzazione, stanno producendo: una espressione, fluida, anche contraddittoria, di un malessere sociale ed esistenziale, che nel conflitto, nelle sue varie forme possibili, cerca uno sbocco.
Così, alcune centinaia di manifestanti si sono misurati prima con la polizia che, con un numero spropositato di lacrimogeni urticanti (si dice più di 400) e con l'uso degli idranti, li ha respinti, per rivolgere poi la loro attenzione alle vetrine di banche, negozi di vario tipo, auto, pensiline dei mezzi pubblici, semafori, ecc., mischiando le banche, simboli classici del sistema di sfruttamento capitalistico con attività generiche (un barbiere, un ottico, un ortofrutta...). Insomma tanto lavoro per assicurazioni ed artigiani mentre Maroni e Pisapia hanno già offerto rimborsi e organizzato manifestazioni: il 2016 con le elezioni della nuova giunta non è poi così lontano.
Trovandosi al centro del corteo il rischio del coinvolgimento dell'intera manifestazione è stato ovviamente molto alto - è stato avanzato anche il sospetto che alcuni all'interno di quello spezzone lavorassero per trasformare tutto il corteo in un terreno di scontro complessivo -  ma se così non è stato è grazie alla determinazione delle componenti iniziali organizzatrici della manifestazione che hanno tenuto fede agli impegni presi assemblearmente sia mantenendo le posizioni, sia concludendo il percorso tra i fumi dei lacrimogeni e delle auto incendiate. In questo contesto non si può tacere delle tattiche poliziesche tese da una parte a contenere i danni tra i 'suoi' e dall'altra ad evitare che ci fossero delle vittime tra i manifestanti, tali da 'sporcare' l'inaugurazione di Expo. Del 'buon cuore' ipocrita del Ministro degli Interni non sappiamo che farcene.
Detto questo rimangono sul tappeto alcune considerazioni da fare.
La crisi sta scavando sempre di più nel corpo sociale del paese, le politiche riformistiche non hanno più gambe né fiato né sirene da suonare, la disoccupazione cresce e soprattutto quella giovanile, non c'è uno straccio di politica industriale all'orizzonte, le rappresentanze politiche più o meno tradizionali si sono dissolte, le divaricazioni sociali crescono così come cresce il controllo sociale fino a prefigurare scenari di militarizzazione sociale complessiva, leggi sempre più autoritarie e restrittive sono all'orizzonte sia sul campo degli scioperi dove si vuole imporre un criterio maggioritario alla tedesca, sia nel campo delle manifestazioni di piazza. Non ci vuole molto a capire che, in mancanza di una capacità politica rivoluzionaria in grado di costruire uno sbocco praticabile e condiviso alla situazione che stiamo vivendo e che andrà sempre più aggravandosi, la violenza acefala diventerà l'unica forma di espressione possibile. Esorcizzare quanto è successo non ci aiuta, il moralismo perbenista nemmeno, il settarismo autoreferenziale men che meno. C'è da rimboccarsi le maniche, sempre più e sempre meglio, sulla strada della lotta quotidiana, dell'autorganizzazione, del duro lavoro di costruzione di un movimento libertario che sappia essere agente reale e concreto della trasformazione sociale.

Le compagne e i compagni della Federazione Anarchica Milanese